IL NATALE DI MICHAEL

Condividendo: P. Saverio adesso sta celebrando la S. Messa delle 11 e in primo banco c’è Michael con la nonna al fianco.

Quello che sembrava impossibile si è realizzato.

La settimana scorsa l’hanno operato per la seconda volta al cervello. La parte sinistra del corpo non reagisce, è semiparalizzata, ma i medici hanno detto che passerà con le terapie. Gli ho raccontato che molta gente in Italia e in Ecuador sta pregando per lui. “Grazie” ha risposto “li aspetto a casa mia per giocare con loro”.

L’esperienza di Michael e la vicinanza nella preghiera possano essere una briciolina di speranza in più per tutti.

Buon Natale.

P. Giovanni

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SANTO NATALE 2013

La statua del Niño Jesús é molto cara agli ecuatoriani. Per tutto il tempo dell’anno rimane esposta nelle chiese e ogni famiglia con profonda devozione custodisce in casa il “suo” Niño, seduto in un trono o adagiato in una culla.


 

Le braccia splancate mi fanno pensare con quanto Amore il Figlio di Dio desidera tuffarsi nelle Storia di ciascun uomo e donna dove desidera abitare…

 

Ti auguro un Santo Natale e

 un Sereno Anno nuovo!

 

Con simpatía

p. Saverio

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RIENTRANDO DALL’ ITALIA …

Carissimi tutti,

é giá passato un mese dal mio rientro in Ecuador. Ora mi ritrovo dall’altra parte del mondo a ripensare le “vacanze italiane” che sono difficili da riassumere nelle poche righe di una lettera…ma ci provo con alcune brevi considerazioni.

Era la prima volta che tornavo a casa con l’esperienza missionaria da raccontare: confesso che é stata una vera e propria missione, compiuta fra i numerosi incontri, celebrazioni, Messe, testimonianze, pranzi, cene, fugaci saluti. Se non fosse stato cosí sarebbe mancata l’altra dimensione della vita missionaria. Infatti si parte per poi ritornare a raccontare quello che si é visto, vissuto e provato. Mi sono presentato come il Saverio di sempre, semplice, senza retoriche e “cliché missionari”, proprio per rispetto delle persone che stanno intessendo e formando la mia storia. La vita delle persone, belle o tristi che siano, non possono e non devono mai diventare oggetto di “argomentazioni esotiche” per far commuovere il pubblico o per affermare che la vita “in missione” è migliore rispetto alla quotidianitá italiana. Dovunque continua a svilupparsi la Storia Sacra, fra alti e bassi, ricchezze e povertá, successi e fallimenti ma non possiamo inchiodarci nelle sterili lamentazioni che inquinano la meravigliosa virtú che si chiama Speranza.

Il tempo di Avvento ci invita giustamente ad essere pronti, svegli, intraprendenti come le sentinelle che dall’alto della cinta muraria (Montagnana?!) fissano l’orizzonte per annunciare l’arrivo della Novitá.

Intanto ci prepariamo ad allestire lucette e addobbi che mostrano che siamo in marcia verso il Natale. L’altro giorno i catechisti hanno allestito il presepio in chiesa con i rami di una grande pianta del giardino, potata dall’intraprendente arrampicatore Andrea, un giovane di Valsanzibio che ha fatto il viaggio con me e condivide la vita della missione fino alla metá di gennaio.  Nella piazza invece non ci azzardiamo a collocare tante cose (o le rubano o le rompono)…solo una stella, irraggiungibile ai piccoli ecuatoriani.

La prossima domenica (15 dicembre) saremo in festa per la benedizione e inaugurazione del primo stralcio del Centro Pastorale, con pranzo comunitario ed estrazione della lotteria. Come vi annunciavo era necessario costruire nuove aule per le attivitá pastorali della parrocchia. E sapete qual è la cosa che piace di piú ai bambini? I bagni! Sono incantati dai bagni! È vero che sono stati fatti e rifiniti bene…  di fatto è l’ambiente piú frequentato, non per necessitá ma per il gusto di starci. Questo vuol dire anche che a casa loro molto spesso non c’è un vero e proprio bagno…

Ritornando agli incontri che ho avuto con voi in Italia, ci tengo di cuore a ringraziarvi per la simpatia, sensibilitá e generositá dimostrate, anche a livello economico. Sono rimasto sorpreso delle offerte che ho depositato nel conto della nostra missione! Con il vostro appoggio potremo continuare a sostenere i progetti di formazione-educazione dei bambini e dei giovani ed eventuali (imprevisti) lavori straordinari delle opere parrocchiali.

Ancora GRAZIE, anche a nome di don Giovanni, Luigina e di tutta la Parrocchia, a coloro che con cuore e mano generose non hanno nemmeno voluto un “grazie”,.

Dio vi ricompensi generosamente per il bene che state facendo.

Buona preparazione al Natale. Ci sentiamo per gli auguri!

p. Saverio

(Adesso che sono nel Sud del Mondo il “don” si trasforma in “padre”)

 

 

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PARENTESI DI LUCE

Dato che è ormai prossima la festa dell’Immacolata mi sembra bello dedicare questo mio scritto mensile alle donne della parrocchia dove sono sacerdote, che come la mamma di Gesù ogni giorno dicono al mondo il mistero dell’amore e del soffrire.

In assoluto il quadro che mi affascina di più è “L’Annunciazione” di Leonardo da Vinci. Un’opera di Leonardo ancora giovane, un’opera che per molto tempo nemmeno è stata considerata sua. Mi affascina per due motivi in particolare. L’angelo è in ginocchio davanti a Maria, il cielo s’inginocchia davanti all’umanità. Sembra quasi che l’angelo, che Dio, si fermi a domandare permesso prima di entrare nellavita di Maria, prima di entrare nel grembo di quella che sarà la sua mamma. È delicato nostro Signore, in ginocchio davanti all’umanità. L’altro particolare è che il braccio di Maria, quello appoggiato sul libro … è sproporzionato! È troppo lungo! I critici d’arte si dividono tra quelli che parlano di un errore di prospettiva di Leonardo e quelli che dicono che l’errore è intenzionale. Mi piacciono le cose belle ma non sono un esperto e mi metto con il secondo gruppo. L’umanità non è perfetta, nessuno di noi lo è. E guarda caso il Signore ci ha scelti e davanti a noi non ha paura di mettersi in ginocchio. Che bello credere in un Dio così!

In queste ultime settimane le incombenze come futuro rappresentante legale dell’asilo mi portano, oltre a girare molto per scartoffie varie, anche a fermarmi molto tempo in asilo. Ci sono i 100 bambini che salutano allegri. Ci sono anche le mamme e le educatrici. Ascoltando, osservando e solo raramente domandando ho scoperto che dietro alla maggioranza di queste ragazze e signore che quotidianamente mi salutano con affetto e sorrisi ci sono storie e realtà di tanta sofferenza e violenza che impressionano, commuovono, mi fanno sentire impotente, mi danno lezione di forza, di amore, di speranza e di luce. C’è la violenza fisica, c’è la violenza psicologica, c’è l’abbandono, c’è la solitudine. A volte, ascoltandole, quasi mi vergogno di essere un maschio. Possibile che ci siano miei simili così volgari, insensibili, codardi? E la risposta è sì e purtroppo sembra che siano molti, troppi. Sabato scorso gita in centro con le educatrici dell’asilo. Furgone pieno di giovani mamme e spose. Un uomo e dieci donne … si tace e si ascolta. Si ascoltano sprazzi di vita reale tra una risata e l’altra. “A mio marito ho dovuto preprare la cena se no non mi avrebbe lasciato”, “Al mio ho dovuto chiedere permesso, sono stufa, non sono una bambina”, “Al mio non ho detto niente, spero che torni a casa dopo di me”, “Il mio sta già iniziando a telefonare domandandomi quando ritorno a casa”, “Al mio ho mentito, non mi avrebbe mai lasciato venire”. Di qualcuna conosco la storia: botte, umiliazioni, sogni infranti, delusione. Di altre la intuisco, non è molto differente. Conoscendo il loro mondo la realtà che affrontano ogni giorno, è bello sentirle ridere, è bello vederle sorridere, è bello ascoltare i discorsi frivoli, le battutine. Una parentesi di luce in una vita che troppo spesso ha troppa nebbia. Le porto in centro, camminano per le piazze, guardano i negozi, vogliono ballare ma i vari locali o sono troppo pieni o sono troppo cari. Sono i giorni della festa della fondazione di Quito. Sembrano come fiorellini, quelli che sbocciano solo per poche ore prima di richiudersi. Conversando con l’ultima a essere accompagnata a casa dico che non è proprio il mio stile portare a passeggio tante ragazze in un colpo solo, mi risponde che per lei la serata è stata una boccata di allegria, una parentesi di speranza. Che diverse sarebbero le cose al contrario, una vita di allegria con qualche parentesi difficile. Faccio silenzio contemplando un’umanità che continua a sorprendere con la sua imperfetta magnificenza.

Michael (il bambino con il cappellino di Babbo Natale) ha ripreso a venire alla Messa. La domenica, alle sei della sera. La nonna sempre lo accompagna. Viene a darci il segno della pace e a fare la comunione. Grazie a tutti quelli che hanno detto una preghiera per lui e per la nonna. Chissà … a volte l’impossibile prende una strada inaspettata.

Primo giorno oggi indossando gli occhiali. Mi fa un po’ strano ma mi ci dovrò abituare.

Un buon cammino di Avvento a tutti.

Hasta pronto

P. Giovanni

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QUANDO È UN VESCOVO A FARTI IL LETTO

Come avete già letto il mese scorso tra giugno e luglio sono stati in Ecuador Andrea e Michele, prossimi diaconi e futuri sacerdoti della diocesi di Padova. Con loro ho viaggiato fino a Macas nella provincia di Morona Santiago (più o meno a otto ore di macchina da Quito). Il clima è caldo, inizia la foresta amazzonica. A Macas siamo andati a trovare Mons. Pietro Gabrielli, sacerdote salesiano, vescovo in pensione (è nato a Pove del Grappa nel 1931), arzillo parroco di Puerto Morona (al confine con il Perù, dove la foresta amazzonica apre le porte per lasciarti entrare nel suo mare verde grande fino all’Oceano Atlantico).

Da Macas a Puerto Morona sono altre tre ore e mezza di strada. Si parte alle tre di mattino, perché più avanti c’è stata una frana e aprono la strada per passare solo alle sette di mattina, a mezzogiorno e la sera. Se no si aspetta. Guido io ma in verità sono mezzo addormentato. Mons. Pietro tra un’Ave Maria e l’altra racconta la sua storia. È contento perché il seminarista Andrea è del suo stesso paese. È contento perché può raccontare come un patriarca, un pezzettino della sua vita. È contento perché vive con una serenità disarmante, che fa bene. Racconta di come una volta, è nel 1958 che vive in Ecuador, si doveva camminare, ore, giorni per raggiungere le comunità più distanti. Racconta che sono stati lui e i confratelli salesiani ad organizzare per primi nella provincia una rete di comunicazione e trasporto con dei piccoli aerei. Racconta che durante la guerra con il Perù è andato lui al fronte a ricevere i soldati ecuadoriani che tornavano, nessuno degli ufficiali ne aveva il coraggio. Racconta che ha sempre cercato di andare a visitare, a piedi, a cavallo, in barca tutte le comunità … anche le più piccole e disperse. Lo racconta con semplicità. In Diocesi lo chiamano il Mitayo, il camminatore (quello che al tempo degli Inca garantiva le comunicazioni tra una comunità e l’altra, quello che trasportava le cose sulle spalle).

Chissà quanto bene ha trasportato Mons. Pietro tra i sentieri quasi invisibili della selva. Le ruspe che stanno liberando la strada ci lasciano passare. Arriviamo a Puerto Morona: una strada sterrata tra due muri di verde e la Chiesa viola e rosa. “Questa è la tua stanza … guarda che qui la scorsa settimana ha dormito un mio amico vescovo del Perù”. Neanche il tempo di mettere giù lo zainetto, che lui ha già le lenzuola in mano. Come un furetto mette le lenzuola “Ah no, questa è troppo corta, aspetta, non ti muovere, ne prendiamo un’altra”. In pochi istanti il letto è pronto. È da quando sono entrato in seminario minore che “ho imparato a farmi il letto” però … preparato da un vescovo ti da un gusto di buono e il desiderio di essere buono come lui. Dal forno spunta qualcosa per fare colazione “Eh qua non bisogna essere tanto i delicati … questo c’è”. Un’esperienza di semplicità delicata, vera, disarmante sotto certi punti di vista. Ci sono dei momenti in cui davvero la vita è maestra.

Dopo un lungo penare da qualche giorno anche la nostra parrocchia ha la Partita IVA, adesso ci sarà possibile fare il contratto con il Ministero dell’Istruzione per permettere che l’asilo continui a vivere. Nelle prossime settimane andrò a ripetizione di contabilità, fatture, IVA, trattenute … tutte parole che hanno a che fare con i numeri, le virgole, la calcolatrice.

Prima però un tempo di Esercizi Spirituali a Manta, in riva all’Oceano Pacifico, scoprendo in lontananza gli spruzzi delle balene e i salti dei balenotteri appena nati. Contemplando, ascoltando, ringraziando.

¡Hasta pronto!

P. Giovanni

Vi avviso che cambia il mio indirizzo di posta elettronica: il nuovo è giovanni.olivato@gmail.com

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AGOSTO ECUATORIANO

“Viaje al país de los sueños” é il titolo del campamento (=Grest) che abbiamo realizzato la terza e quarta settimana di luglio con 140 bambini dai 5 ai 12 anni. Un viaggio preparato con una trentina di animatori che appena finita la scuola si sono avvicinati alla pa

rrocchia per collaborare in questa desiderata attivitá estiva. Rispetto agli anni scorsi il numero degli iscritti é stato molto inferiore per la mancanza di spazi. Si potrebbe stare nella grande piazza a saltare giocare e ballare ma quando il sole brucia, …eccome che brucia! Sembra di avere fiamme di fuoco che si spalmano sulla pelle (ricordo che siamo a 2690 mt di altitudine).

Un’esperienza positiva, di collaborazione con gli adolescenti-giovani e allegria con i piú piccoli.

E il pensiero non poteva non andare ai storici Grest di Battaglia e Montagnana!

L’estate anche qua è il periodo per fare sagra. Non ci sono capannoni ben allestiti, né griglie con ossetti e salsicce, né tanto meno norme igienico-sanitarie che preparano le folcloristiche feste patronali. Il vento carico di abbondanti nuvolate di polvere è il protagonista che spazza le note della tradizionale “banda del pueblo” e depista la traiettoria dei botti che dovrebbero volare al cielo…  Qualche domenica fa sono stato a celebrare una Messa per l’anniversario di un barrio che dopo 16 anni ancora non è legalizzato, cioè senza i servizi basici: acqua, luce e documenti di notarili che comprovino la proprietá del terreno e della casa. Coloro che pagano la festa (priostes) non sono persone ricche ma in onore dei Santi e delle Madonne arrivano a indebitarsi per tutto un anno.

Anche il capitello che si affaccia alla nostra casa canonica si sta preparando a festeggiare la “Madonna del Cisne”, con la recita della novena, i fuochi artificiali, la processione, la Messa e… il tutto bagnato dal fatidico “antigelo”.

Proseguono (lentamente ma procedono) i lavori del Centro Pastorale. Come si sa gli ultimi dettagli e aggiustamenti comportano molto tempo. Di sicuro da ottobre le nuove aule ospiteranno le numerose attivitá della parrocchia. Preciso che per il momento si conclude il primo stralcio che corrisponde al piano terra. E quando qualcuno vincerá la lotteria me lo dica, cosí potremmo realizzare tutto il progetto!

Mario, il volontario che ha fatto tutto l’impianto elettrico… Grazie Mario!

E infine…Udite udite! Da giovedí 5 settembre saró in Italia per paio di mesi di vacanza.

Spero di poter regalare a tutti un saluto, nel limite del possibile… Saranno belle occasioni per condividere l’esperienza della missione, faccia a faccia.

A tutti voi che siete sotto l’ombrellone o al fresco della montagna o chiusi in casa con il condizionatore o al posto di lavoro, auguro un agosto bello riposante.

don Saverio

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ANNIVERSARIO AL BARRIO 15 DE JULIO

Domenica scorsa sono stata con don Saverio al barrio 15 de Julio per la messa di ringraziamento per i 16 anni di formazione del barrio. Il barrio è un insieme di costruzioni piccole, di mattoni grigi, case costruite sul  ciglio di un dirupo sempre in pericolo di crollo. Le strade sono di terra sabbiosa che, quando piove diventano torrenti di fango e, quando tira vento cioè tutti i giorni, sono investite da nuvoloni di polvere che ricoprono tutto e tutti. 

Quando c’è festa, si devono fare le cose in grande perciò c’era la banda, e alcuni gruppi folcloristici con i costumi delle diverse etnie che vivono nel barrio i quali di continuo si esibivano nei loro balli tipici. Un gazebo su uno spiazzo al limite del dirupo fungeva da chiesa, un tavolo pieno di Madonne, Niños (Gesù bambino) e santi e un altro era l’altare. Tutto intorno bancarelle vendevano cibo e bevande, bambini e cani si rincorrevano giocando. Un uomo, con la canna dell’acqua, bagnava di continuo la terra,nonostante questo, la polvere che il vento alzava ti entrava da per tutto. Il vento ha segnato costantemente tutti i momenti della Messa con raffiche poderose cariche di terra.

Alla fine c’è stata la processione attorno al barrio, nelle strade secondarie dove ci sono poche case, i piedi affondavano nella polvere che arrivava fino al polpaccio ed io che ero verso la fine della processione non vedevo don Saverio che era all’inizio perchè camminando la polvere che si alzava nascondeva tutto.

Per spegnere l’arsura che il sole e la polvere alimentavano passavano di mano in mano le fiaschette di chicha ( bevanda alcolica ricavata dal mais) e bottiglie di birra con evidenti conseguenze di ebrezza. Mi sono chiesta il perchè del festeggiare un posto così. Perchè una casa, per quanto piccola, malfatta e in un posto orribile, è pur sempre un rifugio e una sicurezza per la famiglia, è qualcosa di tuo, costruito con fatica che ti rende orgoglioso.

Negli occhi e nei sorrisi delle persone non ho visto felicità ma tristezza e rassegnazione misti a speranza e orgoglio per quanto  realizzato in questi anni (poco a dire il vero) e si illuminavano solo elencando  progetti irrealizzabili per quel posto e quelle persone.

Sognare un futuro migliore e lavorare sperando che si realizzi è quello che tiene unita la gente del barrio e, vorrei sperare anche tutti noi cristiani.

Luigina B.

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ECUADOR: UN PAESE DI COLORI

Nei giorni scorsi sono stati tra di noi due seminaristi di Padova, a loro la parola: 

 

Pensando all’Ecuador la prima immagine è quella delle stoffe, degli oggetti, dei vestiti, della musica e dell’allegria che si respira. Arrivati a Quito, con il passare dei giorni, l’esperienza che stiamo vivendo si è piano piano arricchita con i colori che ogni giorno si sono impressi nei nostri occhi e nel nostro cuore.

 Il rosso del tetto della chiesa di “Maria Estrella de la Evangelización” 

Arrivando alla parrocchia, la prima cosa che si nota dalla strada che scende è il “techo rojo” ovvero il tetto rosso della chiesa parrocchiale. Come la chiesa si distingue tra il grigiore delle costruzioni del quartiere, così noi abbiamo interpretato la vita dei nostri padri missionari come presenza che si distingue all’interno del “barrio”: il loro amore per la gente e per quelli che, come noi, arrivano qua per vivere un’esperienza missionaria si fa sentire subito.

Ci ha colpito il loro prendersi cura delle problematiche quotidiane che si presentano, delle persone che frequentano la parrocchia o semplicemente suonano il campanello per qualche necessità.

E’ il rosso dell’amore di Dio che accompagna tutti lungo il proprio cammino mettendo al fianco persone che condividono in semplicità questo percorso e quest’amore.

 Grigio del barrio 

 Abbiamo avuto l’occasione di vedere il territorio della parrocchia e girandola ci ha colpito il grigio delle case che ha richiamato in noi il grigiore della povertà e di una vita difficile; ciò ci ha fatto sentire piccoli e impotenti davanti a una realtà così vasta e diffusa.

E’ il grigiore dell’abitudine, del pensare che non sia possibile uscire da questa situazione e accettarla come un dato di fatto, spegnendo quasi la speranza. Vedendo ciò, inizialmente, abbiamo corso il rischio di vedere spegnersi anche in noi la speranza. Entrando però in contatto con queste persone e con queste realtà ci siamo resi conto che l’uomo è più grande della condizione che vive e ciò ci ha aperto nuovi orizzonti facendoci capire che la speranza è sempre viva se l’uomo fa riferimento a Dio.

Verde dell’amazzonia e il blu del cielo stellato 

Facendo un viaggio all’interno dell’Amazzonia abbiamo avuto la possibilità di vedere dall’alto la foresta che si perdeva all’orizzonte. Pensare che questo mare verde si estendesse davanti a noi per circa 4500 km ci ha richiamato la grandezza di Dio, il dono della creazione e ci ha fatto pensare a come spesso nel nostro mondo questa non sia rispettata. Fermarsi, contemplare e ringraziare Dio sono stati gli atteggiamenti che ci hanno accompagnato.

E’ stato per noi il verde della nostra speranza e abbiamo vissuto la certezza che Dio guarda agli indigeni con uno sguardo d’amore che loro colgono e vivono nella condivisione e nel dono reciproco donando ciò che possono pur vivendo nell’essenzialità.

 Viola della chiesa di Puerto Morona 

Questi colori forti e vivaci che colpiscono nel verde quasi monotono dell’Amazzonia rappresentano per noi la presenza dei missionari tra le persone più lontane dal messaggio evangelico. Come il viola non appartiene alla foresta amazzonica così, i padri missionari non appartengono alla gente di quei villaggi.

Abbiamo avuto l’occasione di incontrare il vescovo Pietro Gabrielli che da cinquanta anni circa è una presenza costante, allegra ed entusiasta all’interno dei villaggi più sperduti facendosi prossimo di ogni persona. E’ stato un incontro provocante perché ha suscitato in noi una riflessione sulla passione con cui siamo chiamati a vivere il messaggio evangelico, passione che dovrebbe essere capace di sradicarci dalle nostre sicurezze facendoci dimenticare della nostra vita per essere una presenza concreta del Signore che si fa compagno di viaggio di ciascuno, soprattutto degli ultimi.

Contrasto dei colori di Otavalo  

Girando per il mercato della cittadina di Otavalo, in più occasioni ci ha colpito la vivacità dei colori e il loro contrasto sulle bancarelle. E’ il contrasto che si nota tra chi sta bene e chi vive invece con un’economia di sussistenza ovvero senza il superfluo. I colori forti e vivaci che abbiamo visto ai mercati, sulle pareti delle chiese o nei locali parrocchiali ci richiamano la voglia delle persone di uscire dal grigiore della vita, dal grigiore del barrio, la voglia di sognare. Sono colori che trasmettono allegria! E’ il contrasto che ci ha colpito tra la vita grigia della maggioranza delle persone e il senso di accoglienza, i sorrisi, i volti solari, gli abbracci che abbiamo ricevuto. Questi sorrisi, quest’accoglienza per noi sono stati i sorrisi di Dio, l’accoglienza di Lui verso di noi.

Bianco del Cotopaxi 

Il Cotopaxi è un vulcano che si erge all’orizzonte di Quito. E’ una presenza importante qui a Quito perché quando si vede, domina la città. Non sempre però si può vedere la sua bellezza e la sua cima innevata perché coperto dalle nuvole. Ma lui c’è! E’ come il Signore: tante volte non siamo capaci di vederlo perché alcune situazioni della vita ci portano a far fatica a scorgerlo, ma forse, come uomini, siamo chiamati ad avvertire la sua presenza anche nelle situazioni più difficili, quando pensiamo che si nasconda alla nostra vita. Lui comunque c’è!

Giallo e verde della canonica 

Entrando nella canonica si viene immediatamente avvolti dai colori caldi delle pareti che danno l’idea dell’accoglienza e della famiglia. E’ il giallo e il verde. E’ quello che abbiamo vissuto nel condividere questi pochi giorni con i missionari padre Giovanni, padre Saverio e Luigina missionaria laica. Ci siamo sentiti subito come a casa e accolti. Ci è stata data anche l’occasione di incontrare persone che in un modo o nell’altro sono rimaste affascinati dall’Ecuador e hanno speso la loro vita per cercare di migliorare la condizione umana di questo popolo. Per noi è stato bello e significativo condividere la vita quotidiana avendo la possibilità di seguirli nelle loro attività pastorali. Importanti sono stati anche i momenti di preghiera condivisi nella lingua locale e con le persone della parrocchia perché questo è ciò che più di altro ci ha fatto sentire fratelli nella fede rompendo ogni schema e confine.

Blu del fuoristrada 

Il blu è il colore del cielo, della libertà e, per scendere alle cose più concrete, del pick up con cui abbiamo girato per le strade dell’Ecuador. Spesso qui capita di essere fermati da persone che chiedono un passaggio e che prontamente salgono sul cassone posteriore. Allo stesso tempo mentre loro vivono la libertà nel sapere che qualcuno li accoglierà, chi è alla guida ha il cuore libero per accogliere persone sconosciute.

Anche noi abbiamo voluto provare questo senso di libertà percorrendo qualche chilometro sul cassone. Con il corpo abbiamo vissuto questo senso di libertà che interiorizzandolo ci ha fatto vedendo che chi non ha niente o ha poco in realtà è libero di dare tutto e di accogliere.

Questo insieme di colori ha dato vita all’esperienza che abbiamo vissuto. I visi e gli sguardi che ci hanno colpito sono stati accompagnati da alcune riflessioni sul valore della diversità, sul significato del progresso umano e sulla vera felicità.

Che cosa significa la diversità di culture? Siamo noi che abbiamo portato qualcosa a loro o loro che invece hanno insegnato qualcosa a noi? Forse entrambe le cose. Forse con l’umiltà si riesce a dialogare meglio, si riesce a scoprire che alla fine per essere felici l’essenziale basta.

Cos’è il progresso umano? E’ una ricchezza che ci rende capaci di accumulare cose togliendoci la felicità perché non ne abbiamo altre, oppure è rendersi conto, vedendo in una bancarella una signora che aspetta i clienti pregando, che la felicità ce l’abbiamo a portata di mano e che basta coglierla? E la felicità che cos’è? Dov’è? Forse cercando un po’ di più Dio troveremmo una risposta anche a questa domanda … qui in Ecuador la gente per strada sorride mostrandoci i colori della gioia e della fraternità … chissà che cosa significa!

I seminaristi di quinto anno

Andrea e Michele

 

 

 

 

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“CREDEVO CHE LA MISSIONE FOSSE UN’ALTRA COSA”

Tempo di vacanza, tempo di viaggi.

Sono venuti i miei figli e nipoti, due settimane sono poche per vedere l’Ecuador
però sono abbastanza per farsi una idea di cosa sia la missione.
Prima di partire mio figlio mi ha detto” Credevo che la missione fosse tutta
un’altra cosa”. Con parole diverse ma con lo stesso senso si sono espressi i
seminaristi di Padova che sono stati con noi.
Mi sono resa conto che nelle nostre comunità la missione è ancora vista e sentita
come l’avventura pionieristica che poteva essere trenta anni fa e anche io me la immaginavo così fino a quando non ho toccato con mano la vita di qui.
La nostra è una parrocchia come tante altre in Italia con la sua bella chiesa, la
canonica, le attività pastorali, le gioie e i dolori che si vivono in ogni comunità.
Dove sta’ la differenza?
Siamo stranieri che accompagnano una comunità nel cammino di fede.
Siamo stranieri perchè veniamo da un altro paese e siamo un po’ diversi come
fisionomia però qui ci sentiamo a casa, la gente ti accoglie con simpatia.
Sei uno di loro perchè condividi le loro paure, le aspettative, le ansie, i dolori e
le gioie di ogni giorno e questo viene apprezzato proprio perchè hai lasciato la
tua terra e i tuoi cari per stare con loro che non conosci e sono diversi.
Missione è fare la volontà del Signore, dire a tutti che Egli ci ama e non ci lascia
mai soli, ogni cristiano è chiamato a farlo.
A noi la scelta di ascoltare o no questo invito e seguirlo nel miglior modo possibile
nei luoghi dove siamo chiamati a vivere.
Scusate se non ho molto da raccontare ma, non sempre ci sono cose straordinarie
da raccontare, la vita è fatta sopratutto dalla ordinarietà che rende più sorprendente e
accettabile l’imprevisto e il nuovo.
Vi abbraccio tutti con affetto
                                         Luigina

 

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3 + 6

Qualche anno fa, ai tempi di Ronaldo all’Inter, il suo compagno di squadra e di attacco, il cileno Ivan Zamorano, giocando con i numeri aveva incollato un piccolo segno + tra l’1 e l’8 della sua maglia (che era il 18). “Tu Ronaldo che sei strafamoso potrai pure tenere il 9 (il numero dei bomber) però anche io con il mio 1+8 (uguale a 9) non sono da meno”. Questo gioco di memorie nerazzurre un poco si aggancia a questi due mesi del 2013. In maggio sono arrivato a 36 anni e a giugno ringrazierò il Signore per questi 9 anni (3+6) di sacerdozio. Con due numeretti uno pensa a un mucchio di cose. Penso alla mia famiglia, ai miei amici, quelli di sempre e a quelli che poco a poco hanno iniziato a camminare al mio fianco. Sono figlio, fratello, anche zio, in Ecuador mi chiamano padre.

Penso alla vocazione che mi è stata donata, al sì ripetuto molte volte, all’essere sacerdote e missionario. Penso a Cornegliana, alle parrocchie della Diocesi che mi hanno visto passare per di lì e alla parrocchia che mi ha accolto come suo parroco. A 36 anni in Ecuador si potrebbe già essere nonni, io sempre più mi sento vicino ad Abramo. Camminante seguendo una promessa. Come persona, come cristiano, come sacerdote. E così la contemplazione si fa ringraziamento. Ringrazio per quello che è stato e per il cammino che c’è ancora da fare. Ringrazio per le belle persone che conosco e per quelle che sto iniziando a conoscere.

Il mese di maggio è stato il tempo del compleanno della parrocchia. 15 anni. La messa nella piazza, dopo la lunga processione, è stata bagnata dalla pioggia. Tenue all’inizio, forte durante la comunione tanto da costringerci a finire la celebrazione in chiesa. Dopo la messa tutti fuori a mangiare e quasi alla fine del pranzo tutti dentro un’altra volta dato che aveva ricominciato a piovere. La chiesa, con i banchi in cerchio è diventata come una pista del circo, dove si sono esibiti tanti dei gruppi che fanno parte della comunità. Balli, scenette, il bingo, la torta alla fine. Fuori la pioggia e dentro l’allegria di esserci, di fare comunità di continuare a crescere. Guardando le vecchie fotografie si vede tanta terra, tanto fango, poche case. Lo scheletro della chiesa, le fondamenta dell’asilo e le impalcature per quello che sarebbe stato il dispensario medico. Guardandomi attorno oggi si vedono moltissime case, il tetto rosso della chiesa, tanta gente che con il tempo si è affezionata alla parrocchia e tanta che, nonostante viva qui da molto tempo, non conosce nemmeno il nome della parrocchia. C’è da camminare. Nella formazione, nell’apertura al nuovo, nel senso di essere e fare comunione. Si raccoglie l’eredità lasciata da chi ha preceduto, però allo stesso tempo si guarda avanti per continuare un cammino intrapreso. Questi estivi saranno i mesi delle scartoffie e dello studio. I tanti raccoglitori colorati messi in ordine nella libreria adesso devono anche essere letti e studiati. Raccontano una storia di 15 anni, i passi e le cadute, da leggere perché per amare serve conoscere.

Sabato farò il quasi – vescovo poiché sono stato invitato a cresimare in una parrocchia vicina. Speriamo che lo Spirito Santo funzioni lo stesso.

¡Hasta pronto!

P. Giovanni

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