PERIODO DI PASQUA…

Vi auguro a tutti una Buona Pasqua!! (anche se con qualche giorno di ritardo…).

Fiesta de los Ramos (Palme) e Venerdì Santo sono le due feste, considerate dalla gente, più importanti. Viene spesso spiegato che, invece, è la notte di tutte le notti, cioè il Sabato Santo la festa più importante… diciamo solo in due parole… se Gesù non fosse risorto il nostro credere non esisterebbe!!!!

Quindi come nella mia parrocchia di Salboro e pure qui a la Porziuncola la chiesa la Domenica delle Palme e il Venerdì Santo la chiesa è strapiena… quando si dice: tutto il mondo è paese!

L’unica cosa diversa è il modo di preparare queste due festività:

FIESTA DE LOS RAMOS: qui la gente si riunisce tutta insieme, dal sabato mattina alle 7fino alle sera, per intrecciare la paglia.

C’è un via vai di persone, chi arriva, chi va via e chi ritorna dopo qualche ora per ricominciare il lavoro da dove lo aveva lasciato.

È un lavoro molto divertente, si vedono gli adulti che spiegano agli adolescenti come creare ventagli, chiocciole o altre forme con queste foglie lunghissime. Pure io mi ci son messa a intrecciare paglia e posso dire che come prima volta son stata pure bravetta (fidatevi della mia parola… non ho fatto foto delle mie piccole opere d’arte… forse è meglio perché a qualche ventaglio mancava la punta… va a capire cosa ho sbagliato;)!!). La domenica mattina poi già tutti all’opera dalle 6 del mattino per vendere i rami fuori dalle porte della chiesa, ma già dopo la Messa delle 7 tutti i rami intrecciati il sabato erano finiti… così abbiamo dovuto ricominciare a farne di nuovi per la Messa delle 19.30… un lavoro lunghissimo ma che mi ha permesso di stare con la mia gente e conoscerli ancora di più!

VENERDì SANTO: un gruppo di giovani della parrocchia iniziano a fare le prove della rappresentazione della Via Crucis fin dal mese prima.

La processione è così organizzata, la prima parte fino alla condanna di Gesù alla crocifissione si svolge nel patio, la parte dell’ascesa al Calvario si cammina per le strade della parrocchia e la crocifissione di nuovo nel patio. Si cammina in processione dietro ai 3 ragazzi che rappresentano Gesù e i 2 ladroni che con una croce vera e scalzi camminano beccandosi pure qualche frustata dai compagni soldati… colorano perfino l’acqua di rosso per mostrare il sangue… per la gente è tutto normale invece per me è stato molto strano.

Con il gruppo Caritas della parrocchia abbiamo venduto acqua durante il cammino proprio perché il tutto era iniziato alle 14.30… sotto una candela decisamente scottante!!!

Qui a maggio iniziano le varie attività… essendo in costa l’anno scolastico, pastorale, catechistico sono da maggio a febbraio invece in sierra è come quello che segue la gran parte del mondo da settembre a giugno… e questo significa che si inizia a lavorare sul serio!!!!

Con la consapevolezza che la preghiera ci unisce, vi ho nel cuore,

Cristina

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POVERI STRUMENTI DI GLORIA

Nel giorno “del domingo de ramos” (domenica delle palme) centinaia e centinaia di fedeli hanno confluito alle varie celebrazioni. Dai bambini agli anziani, tutti erano adornati come meglio potevano con fascine di rosmarino o di fiori o di foglie di bambú per osannare a Gesú nel giorno della sua entrata a Gerusalemme. C’è sempre qualcosa di pittoresco che accompagna quelle celebrazioni che hanno dei segni evidenti come nel giorno delle Ceneri o anche a Natale quando si assiste ad un traffico di statuette del bambino Gesú. Quando c’è qualcosa di visibile e concreto veramente si muove il mondo! Anche se celebrassimo Messe ad ogni ora avremmo chiesa e cappelle strapiene. Ora ci stiamo preparando alla nuova ondata del Venerdí Santo che di sicuro sará da bollino nero.

Domenica mattina abbiamo preferito celebrare la Messa nel piazzale della chiesa. Nientedi diverso da quello che sará successo al tempo di Gesú. Ci sono i cattolici che si radunano in attesa della processione e nell’angolo apposto crocicchi di predicatori di altre religione pronti per partire in missione. C’è chi prega e chi rimane indifferente. C’è chi canta e chi grida per vendere i sui rametti di rosmarino e di fiori. C’è chi cammina in processione e chi con il suo banchetto vende gelati, dolciumi e quant’altro. C’è chi ascolta con devozione la liturgia e chi risponde al cellulare urlando perché non ci sente bene. Qualcuno direbbe “tutto il mondo è paese…!”

E cosí inizia la grande settimana dei cattolici. Giorni di ancorate tradizioni cattoliche fino a celebrare sulla tavola la famosa fanesca, una minestra preparata con 12 tipi di cereali e legumi, uova e baccalá…che poi ti obbliga a fare digiuno ed astinenza per 3 giorni. In ogni angolo della cittá si vende questa tipicitá, come dire “Non c’è settimana santa se non si mangia la fanesca”.

E intanto il Messia passa, vede e ascolta tutto quello per noi significa Pasqua. Ma è la sua Pasqua?! E la nostra, come la stiamo preparando? In altre parole, quale passaggio o cambio desideriamo fare?

Ancora una volta contemplo quelle folle di fedeli che nelle forme piú diverse e pittoresche cercando qualcosa o Qualcuno, unendo le proprie credenze religiose per togliere quel pesante macigno che si chiama alcolismo, dipendenza, maschilismo precarietá, abbandono, violenza, non-senso o detto con una parola, povertá.

Mi ha richiamato l’attenzione quella signora incaricata dall’impresa municipale per la pulizia del piazzale, che una volta iniziata la Messa è entrata nella cappella lasciando ramazza e pala all’ingresso per partecipare alla funzione religiosa. Non ha avuto timore della sua uniforme da “spazzina” per osannare a Gesú… Chissá, forse il suo ramo benedicente era, in quel giorno e per tutta la vita, proprio quello strumento di lavoro che sventolava sul pavimento prima e dopo della Messa.

Mi piace pensare la Pasqua come l’evento della trasformazione delle nostre “ramazze” in segni di resurrezione e di gloria. Anche le nostre povertá possono diventare porte di accesso a un sognato cambiamento.

La Chiesa si compone proprio di questi cercatori del Risorto, uniti dalla stessa fede per togliere i pesanti macigni che non permettono di vedere nuove possibilitá e di fare esperienza della Nuova Vita. Tutti desideriamo un riscatto per vivere meglio, coscienti o no…

Carissimi auguri di Buona Pasqua!

 p. Saverio

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LA NUOVA PARROCCHIA “NUESTRA SEÑORA DEL PERPETUO SOCORRO”

Domenica 23 marzo 2014, la cappella del quartiere dell’ Arbolito é stata eretta a parrocchia con il titolo di “Nuestra Señora del Perpetuo Socorro”.

Nell’ occassione padre Giampaolo ha preso l’incarico di parroco alla presenza del Nunzio Mons. Otonello, del vescovo Nieto (di Yaguachi) e del vescovo Arregui (di Guayaquil).

Tanti auguri per il nuovo nuovo inizio y …muchas bendiciones!

Il luogo della nuova parrocchia

la chiesa parrocchiale

W el parroco!!!
é quello che assomiglia al papa…

Un momento della celebrazione

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PROSPETTIVE CON GLI OCCHI AZZURRI

Edison scende dal bus. Piove. Non indossa nè un giubbino nè un cappello. Parlare di ombrello neanche passa per la mente. Suona il campanello. Lilly non abbaia, intuisce che Edison non é pericoloso. Dall’altra parte del cancello Edison parla veloce, troppo veloce per me e capisco la metá di quello che dice. Lo faccio entrare inzuppato d’acqua. Si siede di fronte, dall’altra parte della scrivania. Continua a parlare e continuo a capire poco. Mi guarda con i suoi occhioni azzurri, colore assai raro qui in Ecuador, avrá la mia etá piú o meno. Sará per la faccia bagnata, sará per la faccia stanca, sará perché andare in giro sotto la pioggia senza niente per ripararsi… non mi sembra un tipo molto sveglio. Tra i moltissimi “gracias padrecito” e “disculpe la molestia” che intercalano il suo discorso riesco a intuire che é sposato, che ha tre bambine, che sua moglie é malata. La faccia di Edison mi é familiare, giá l’anno scorso era passato per la canonica peró non mi era rimasto particolarmente impresso o non lo avevo ascoltato con il rispetto che merita uno che adesso non teme la pioggia battente pur di dire quello che vuole dire. Mi pongo attento, lo obbligo a parlare piú lentamente. Ha tante cose da dire e vuole dirle tutte in un colpo solo e i discorsi continuano ad accavallarsi. “Mia moglie é paralizzata, ha una valvola nella testa se no muore. Io la amo e la ameró sempre. Tanti mi aiutano ma per certe visite non so come fare. I dottori dicono parole difficili, non capisco. So che sta male. A volte la valvola si blocca e perde sangue e io non so cosa fare. Corro in farmacia e il dottore, che é piú buono di quelli dell’ospedale, mi dice cosa devo fare e lei dopo sta un pó meglio”. Mi mostra un plico di ricette e visite, non vuole che lo pensi un bugiardo. “Padrecito, io lavoro sa. La mattina mi alzo presto, lavo mia moglie, preparo la colazione e il pranzo per le mie bambine. Do le medicine a mia moglie e mando le bambine a scuola e al collegio. Sono brave, hanno imparato ad arrangiarsi. Lavoro in cantiere, il capo mi vuole bene e mi aiuta e non mi fa mai fare gli straordinari perché sa che devo tornare a casa per stare con mia moglie. Torno a casa di corsa, preparo la cena, metto a posto la casa, le mie bambine fanno i compiti. Non le posso aiutare molto, io non ho studiato tanto. Lavo le loro uniformi del collegio, lavo i piatti, lavo mia moglie. A volte mi tocca uscire di nuovo per cercare qualche aiuto. Tutti mi vogliono bene. Le suore, quelli del quartiere, la direttrice della scuola, tutti mi aiutano”. Prende fiato. “É difficile. A volte mi stanco. A volte mi arrabbio perché mia moglie non sta bene. Peró dopo mi viene in mente che la amo, che voglio starle vicino, che lei farebbe lo stesso per me. E mi rimetto in marcia”. Prende fiato un’ altra volta. “Mi vergogno a domandare la caritá peró se non lo faccio non riesco a pagare le medicine. E penso che é per aiutare mia moglie e la vergogna va via e non sento la pioggia”. Mi guarda fisso. “No questa é una bugia. La pioggia la sento eccome, peró solo per di fuori. Dentro no. Dentro sento che devo dar da mangiare alle mie bambine, che devo mettere in ordine la casa, che devo aiutare mia moglie, che siamo una famiglia”.

Pascua vuol dire passaggio. Passaggio dalla schiavitú alla libertá, dalla morte alla vita. Mi sembra che Edison sia proprio un tipo pasquale. Da fuori la sua vita sembrerebbe un sepolcro ben chiuso, senza speranza e senza luce. Peró la semplicitá di un amore grande rende la sua vita una porta aperta e i suoi occhioni azzurri come una finestra verso il cielo che mi ricordano che sperare vuol dire anche far fatica e che il risorgere inizia con il non arrendersi.

Si avvicina la Settimana Santa. Che possano aprirsi le porte che ci lasciano chiusi nei nostri sepolcri. Il bello é che dopo Gesú altri ci sono riusciti, anche vicino a noi.

¡Hasta pronto!

P. Giovanni

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PADRINO

Quito, 23 febbraio ’14

Sabato 8 febbraio ho vissuto la bellissima esperienza di essere padrino al battesimo di Alejandro Fabián, un bimbo pacioccone di 9 mesi, il terzo figlio di una giovane coppia che fino a pochi mesi fa viveva nella nostra parrocchia. Chi ha visto il mio figlioccio ironicamente ha detto che é la mia fotocopia…  É la prima volta che sono stato invitato a questa responsabilitá, considerando il ruolo importante che il padrino riveste in America Latina assistendo agli importanti passaggi della vita del figlioccio… Finora, per fortuna, a me non è toccata questa tiritera di doveri ma ho avuto un trattamento speciale durante la cena condivisa nella casa dei nonni, come fossi la persona piú importante di quella serata. Mi è toccato il posto d’onore, il piatto piú abbondante (e non solo per la mia stazza…) e un servizio molto attento.

Ho partecipato alla Messa come qualsiasi fedele (che strano!) nello stesso banco dei genitori di Alejandro e poi il tutto é continuato come il rito del battesimo prevede. Una cosa curiosa dei nostri battesimi é l’abbigliamento dei battezzandi: i maschietti sembrano piccoli marinai, mentre le femminucce sposine con baroccheggianti abiti. Al momento della vestina bianca i genitori indossano sulla testa del piccolo un cappellino bianco, di cui ancora non sappiamo l’origine di questa tradizione. Essere scelto per questa missione di padrino mi ha fatto comprendere le attese dei genitori di Alejandro, preoccupati non tanto dell’esterioritá della festa ma di affidarsi a me per il difficile compito educativo. La loro semplicitá e profonditá mi hanno spiazzato e arricchito, senza dubbio!

Il palazzo presidenziale “Casa Rosada” di Buenos Aires

Essere missionario non significa solo rimanere a pianta fissa nella propria parrocchia ma anche viaggiare fuori dall’Ecuador, in quanto referente/delegato per i missionari italiani in servizio in questo Paese. Recentemente ho avuto l’opportunitá di rappresentare i miei confratelli a Buenos Aires…una cittá diventata famosa dopo l’elezione a Papa del vescovo Bergoglio. Ogni viaggio è un’esperienza di vita. Nei giorni successivi alle riunioni sono stato gentilmente ospitato da Valentina e Silvia, missionarie della diocesi di Biella, che mi hanno accompagnato a visitare le vie del centro e della periferia di Buenos Aires.

Padre Pepe fra i bimbi della “villa miseria”

Una realtá che merita un accenno è la visita di uno dei quartieri piú poveri della capitale, chiamati villa miseria, accompagnato (e scortato)  dal  parroco Pepe Di Paola, grande amico di papa Francesco e collaboratore nell’avvio di una attenta e delicata pastorale nella e della periferia. Impressionante passare da una realtá di benessere alla miseria, solo attraversando una strada o il ponte di un fiumiciattolo. Quartieri che concentrano anche 15 mila persone, fra baracche, casupole costruite con materiali di fortuna; appena la corrente elettrica, l’acqua erogata a ore o quando funziona, le fognature a cielo aperto, spazzatura galleggiante nei fiumi, macchine rubate bruciate… Qua padre Pepe si gioca la vita, con la sua vecchia Fiat Duna bianca, tra una risata e l’altra e con in mano il caratteristico mate (infuso argentino che beve con una cannuccia), vivendo come loro e in mezzo a loro.  Aver camminato con lui è aver inseguito le impronte del papa Francesco che ci indirizzano come Chiesa ad andare alle periferie…

Anche noi come Comunitá Cristiana ci stiamo interrogando quanto ancora dobbiamo osare per tentare di raggiungere i quartieri piú lontani dalla parrocchia e “meno serviti” in tutti i sensi. Riguardano le recenti urbanizzazioni che alla meno peggio stanno accogliendo numerose famiglie che hanno scelto di investire i loro risparmi comprando un lotto per costruire la loro casetta. Sono realtá abbastanza dimenticate dalle istituzioni, peró noi come Comunitá abbiamo il desiderio di essere vicini tentando di creare sempre piú comunitá. Finora siamo riusciti a pregare la novena di Natale e prossimamente la Via Crucis nei venerdí di Quaresima e l’avvio di un gruppo biblico. Non è facile entrare in questi quartieri in quanto molto spesso si trova anonimato e indifferenza (tuto el mondo se paese)…ma é una sfida che ci piace giocare!

Il “Puente de la Mujer” (ponte della donna) a Buenos Aires

Siamo nei giorni del Carnevale. Non mancano di vedere secchi d’acqua lanciati dalle finestre delle case o i bimbi che si rincorrono per le strade fino a lanciarsi acqua e farina: allegria dei piccoli e dei grandi. E neppure i padrecitos vengono risparmiati…prima di essere investiti dalle ceneri della penitenza.

Un fraterno saluto a tutti, di cuore.

p. saverio

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ANDREA RACCONTA LA SUA ESPERIENZA

Ciao, sono Andrea Menandro, vivo a Valsanzibio e vi scrivo alcune parole sulla mia esperienza coi sacerdoti padovani missionari in Ecuador. Sono partito con il mio amico e paesano don Saverio il 6 novembre 2013, era la prima volta che affrontavo un viaggio intercontinentale, ero molto curioso ed eccitato. Dopo parecchie ore di volo, atterriamo all’aeroporto di Quito e dove ci attende Luigina molto contenta di vederci. Arrivati a casa, ho fatto subito la conoscenza con don Giovanni. La famiglia da quel momento e per i successivi 75 giorni avrebbe avuto a carico un nuovo personaggio tutto da scoprire. Lo stesso anche per me. Ho trovato fin dai primi momenti un’atmosfera molto familiare e italiana. Come fossero abituati ad avere gente che va e viene. Questo è vero e l’ho potuto notare durante la mia permanenza. Dopo un paio di giorni di acclimatamento, ho fatto conoscenza di quello che sarebbe stato il mio “partner” di lavoro per tutto il periodo, Angel. Con lui abbiamo fatto parecchie cose, dalle semplici manutenzioni di oggetti dell’asilo e del centro pastorale alle più complesse e impegnative, come la pittura della nuova cucina dell’asilo, a potare gli alberi della parrocchia, a demolizioni di baracche. C’era sempre da fare per la causa parrocchiale, con calma e parsimonia si faceva tutto. Con Angel non si poteva correre, io tendevo ad accelerare i lavori e magari innervosirmi.  Lui invece guardandomi, mi ripeteva più volte “tranquillo”, accompagnato da gesti soavi. Poi quando vedeva che i lavori riuscivano bene mi diceva ” buono.. buonissimo… suficiente”. La vita in casa era tranquilla, non ci si pestava i piedi, ognuno aveva il suo da fare. Spesso davo una mano a Luigina in cucina, cercavamo di inventare qualche piatto originale.

Ho vissuto in prima persona la preparazione al Natale allestendo i vari addobbi in chiesa, le cene con le suore molto simpatiche e giovanili, la lotteria di Natale. Mi sono divertito condividere questi momenti con persone nuove e di un’altra parte del mondo rispetto alla mia e tentando di comunicare nella loro lingua …

Ho visto luoghi molto diversi dai nostri fra città, paesaggi, climi. l’Ecuador è molto interessante perchè percorrendo pochi chilometri si incontrano paesaggi e climi totalmente diversi. Dal caldo secco di Quito, al caldo umido e afoso di Guayaquil, al freddo (relativo del Cotopaxi) e in pochi chilometri si passa dal livello del mare agli altopiani andini che lambiscono i 3000 metri. E poi la pioggia e il sole e le zone aride e quelle umide.

Poi sono stato colpito dalla molteplice varietà di frutta e verdura che producono in ogni periodo dell’anno, buonissime!

E la birra Pilsner ( “ecuatorianamente renfrescante”) che accompagnava la pizza e le varie cene più di spessore.

Alla fine dei conti posso dire con franchezza che ho trascorso due mesi e mezzo unici per tutto quello che ho visto, vissuto e fatto in questa parte del mondo che sembra dall’Italia tutt’altro che interessante. Del Sud America ci sono Stati ben più famosi e conosciuti a livello mondiale ma, devo dire che di traffico turistico e di affari e di italiani ce n’è molto e… sempre di più.

Come ultima cosa desidero salutare e ringraziare.

Saluto con affetto tutte le persone conosciute, in particolar modo Cecilia, Rocio, Veronica, Kathy, Edwin, Marcela, Angel, Rosa, le suore, don Daniele, don Mauro, don Giampaolo e Cristina. Ultimissimi saluti speciali alle tre persone con le quali ho vissuto e condiviso maggiormente questi momenti indimenticabili, alle quali mando un grosso abbraccio e un arrivederci: Giovanni, Saverio e Luigina.

Andrea

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VITA PASTORALE

Come ogni primo venerdì del mese sono stata a trovare i miei amici ammalati portando loro la Comunione. E’ sempre una gioia incontrarli perchè, nonostante l’età e le varie magagne, sono pieni di vitalità.

Il signor Alonso da diversi anni ha perso le gambe per una malattia, amputate all’altezza del bacino. Vive in una casa misera assieme alla moglie, nelle case vicine ci sono le figlie sposate. Quando arriviamo ci accoglie sempre con un gran sorriso  e ci dice che tutto va bene anche quando ha una tosse potente che gli toglie il respiro. Dopo la comunione ci fermiamo un po’ a parlare, Marcela, la mia compagna, prima di Natale gli ha chiesto se a capodanno faceva festa e lui con un sorriso malizioso le ha risposto “Certo e vado anche a ballare, per l’occasione mi comprerò un paio di scarpe nuove” e si mette a ridere di gusto. Per un attimo, sconcertate, siamo rimaste in silenzio poi abbiamo riso con lui della battuta.

La sig. Maria, vecchia e minuta, vive da sola in una camera in affitto, una nipote che abitali vicino le porta i pasti. A lei piace cantare e sempre ci chiede le canzoni che conosce cantando con voce sottile ma sicura e le si illuminano gli occhi. Venerdì nel salutarci ha detto con voce triste “Che peccato non poter andare a messa per incontrare per bene Gesù”. Mi ha fatto una gran tenerezza e le ho promesso che una domenica andrò a prenderla per portarla in chiesa. Mi ha abbracciato forte e mi ha baciato le mani.  Sono gesti che ti lasciano senza parole e con il cuore pieno di riconoscenza per questo Dio che ti fa incontrare persone dalla fede semplice e forte.

Tutti i martedì pomeriggio e le mattine di mercoledì apriamo il ropero solidario ( oramai dovreste sapere che il ropero è la vendita di vestiario usato e non solo), domenica ce n’è stato uno straordinario che si ripete circa ogni due mesi. Ci fa piacere constatare che ogni volta si aggiunge gente nuova, comprano e se ne vanno soddisfatti perchè con pochi dollari si portano a casa un sacco di roba in buono, buonissimo stato.  Noi aspettiamo con ansia queste vendite perchè con i soldi ricavati possiamo far fronte alle molte necessità dei poveri della parrocchia, soprattutto del CAE. Sono giornate di duro lavoro ma ne vale la pena, i risultati ripagano di tanta fatica.

Vi abbraccio

Luigina

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DALLE ANDE ALLE…ONDE

 

Con il cuore pieno di ricordi per i 5 anni trascorsi nella periferia di Quito, poco più di un anno fa, nel gennaio 2013, assieme a don Mauro Da Rin, partivo dai 2800 metri di altezza di Quito con le auto piene di bagagli per intraprendere 8 ore di viaggio e scendere dalle Ande fino al livello del mare: dalle Ande alle… onde! Adesso abito nel

la città di Duràn (240 mila abitanti) alla periferia di Guayaquil (3 milioni di abitanti), assieme a due sacerdoti: don Daniele Favarin da Vigodarzere, parroco di Porziuncola, 40 mila abitanti, parrocchia con 31 anni di storia e gruppi ed attività pastorali ben avviati, e don Mauro Da Rin Fioretto di Cristo Risorto in Padova, che svolge vari incarichi diocesani tra cui quello di direttore della neonata Caritas. Cristina Tono da Salboro è arrivata da poco in Ecuador e sta migliorando il suo spagnolo all’Università di Quito per potersi poi immergere nell’esperienza della missione qui a Duràn. A me è stata affidata la guida pastorale dell’Arbolito, un quartiere popoloso di 15 mila abitanti, al quale il vescovo locale Anìbal Nieto aveva da tempo promesso di inviare un sacerdote perchè diventasse presto parrocchia!

 

Questo momento è finalmente arrivato: il 23 marzo il vescovo Anìbal arriverà nella nostra “piccola” cappella dell’Arbolito (che tradotto significa: Alberello), dove a stento riescono ad entrare 150 persone, per erigere ufficialmente la Parrocchia della Vergine del Perpetuo Soccorso. Personalmente insistevo con il vescovo per ritardare questa data e per preparare meglio la comunità. Ma il vescovo giudicava che la comunità era cresciuta molto in questo ultimo anno e che il momento era arrivato! In un anno infatti nella comunità dell’Arbolito è aumentata la frequenza domenicale alla messa da 40 a più di 150 fedeli, i ragazzi del catechismo sono passati da 40 a 200, si sono rafforzati i gruppi parrocchiali esistenti (catechisti, pastorale della donna, gruppo afroecuatoriano, chierichetti, animatori dei giovani, comunità di base), c’è inoltre un gruppo di 18 catecumeni adulti che si preparano con me tutte le domeniche pomeriggio per ricevere la Comunione, la Cresima ed alcuni il Battesimo. Tutti questi non sono certo frutti di meriti personali, quanto piuttosto segni dell’attesa e del desiderio di tanti fedeli di diventare finalmente parrocchia.

E c’è un’altra bellissima novità: le suore Elisabettine di Padova, già presenti in Ecuador da 40 anni, apriranno una casa all’Arbolito e arriveranno qui proprio il 23 marzo, giorno della nascita della nuova parrocchia, per collaborare nella pastorale e nella promozione umana in un quartiere tra i più poveri della periferia di Guayaquil.

Ci sono quindi tante cose da preparare in questo periodo… e tante necessità. Anzitutto la casa della suore: un ex asilo, provvidenzialmente donato alla Curia ed attiguo alla cappella, deve diventare in due mesi la casa delle suore. L’adattamento è una spesa ingente (circa $ 30 mila) ma la presenza delle suore in parrocchia e nel territorio li giustificherà tutti. Inoltre un’altra parte dell’ex asilo verrà trasformata in centro parrocchiale, costruendo nuove aule per la catechesi. Anche la “vecchia” cappella del Perpetuo Soccorso ha bisogno di essere fornita di libri liturgici, calici, candelieri, camici, casule, banchi, e di un restyling a livello di illuminazione, impianto elettrico, altoparlanti, campane, finestre, tabernacolo… in vista del fatto che nei prossimi anni in un terreno già previsto si possa costruire la grande chiesa parrocchiale. Siamo soltanto all’inizio. Ma con l’aiuto di tutti si va avanti! Tanti benefattori hanno già collaborato e sarà necessario il contributo di tanti ancora. Chi potrà ricompensarvi è solo Dio che ama chi dona con gioia.

 L’aiuto però dev’essere di tutti tutti! Non c’è bisogno solo dell’aiuto dei benefattori. La gente dell’Arbolito sta collaborando, anche volontariamente, nei lavori di costruzione che abbiamo iniziato, nella casa delle suore, nel patronato e nella cappella del Perpetuo Soccorso. Un anno fa, quando sono arrivato qui nel periodo delle piogge equatoriali, guardandomi attorno mi ero detto: “Come fa a vivere questa gente, in mezzo a paludi ed acquitrini, tra strade di fango e melma, circondati da zanzare e scorpioni, dentro case di canna di bambù dove piove dentro!” Ma mi hanno zittito immediatamente con la loro profonda saggezza e soprattutto tanta tanta tanta fede, da lasciare ogni missionario a bocca aperta: “Padre, non si guardi troppo attorno, non si lasci condizionare da quello che lei vede, dalle nostre povertà e necessità, noi ci siamo abituati da anni e quando il buon Dio ci vorrà dare migliori condizioni di vita gliene saremo grati. Però il Signore l’ha mandata qui tra noi per costruire una parrocchia. Noi non abbiamo bisogno di case. Noi abbiamo bisogno di una casa per lo Spirito, di una dimora per Dio e per la nostra comunità: noi desideriamo con il suo aiuto diventare parrocchia. Quando la parrocchia sarà creata e sarà viva, tutto il resto arriverà di conseguenza, come dice il vangelo ci sarà dato in aggiunta!”

Davanti a tanta fede possiamo solo rispondere con il vangelo “Beati i poveri, perchè di essi è il Regno dei Cieli”!

Dios les pague (Dio vi ricompensi).

p. Giampaolo

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INCUBATRICE E GUACHIMANIA

Carla Valentina è nata prematura. Troppo prematura. La sua vita è in pericolo. Roberto, il papà, è catechista nella nostra parrocchia. Viene di sera, scende dalla moto che sempre lo accompagna e domanda se è possibile che vada con lui all’ospedale per battezzare la piccolina. Al lavoro non gli danno più di una ora di permesso. Il giorno seguente alle quattro del pomeriggio mi faccio trovare davanti all’ospedale. Lui arriva tutto di corsa. Parcheggia litigando con i poliziotti che alla fine capiscono che non è il momento più opportuno per fare una multa. Saliamo. Le infermiere ci fanno indossare camici bianchi e curiose cuffiette, lavare con cura le mani. Dove entreremo è un posto dove vita e morte lottano alla pari. Nella stanza si vedono tanti macchinari, schermi pieni di zig zag frenetici. Si sente il battito amplificato dei cuoricini dei bambini. È un rumore confuso, il ritmo non è regolare, ci sono istanti di silenzio che mettono ansia. Le infermiere ci lasciano da soli. La mamma non c’è. Lei sta soffrendo in un altro letto dell’ospedale. A lato dei numerosi macchinari vedo una scatola trasparente piena di cavetti e tubicini che convergono e si insinuano nel naso e nelle manine della bambina. È piccolissima. Non capisco bene con quanto anticipo sia nata pero intendo che non tutto si è ben formato. I dottori hanno detto a Roberto che la miglior cosa è pregare e sperare. In due iniziamo la semplice cerimonia. Il canto dei cuoricini fa da colonna sonora alle parole del Battesimo. Roberto prega con devozione, non piange ma si vede che ne avrebbe una voglia matta. Mi giro e con lo sguardo chiedo all’infermiera se si può aprire la porticina dell’incubatrice per posare una goccia d’acqua sulla fronte della piccolina. Scuote la testa. “Io ti battezzo nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo” con la mano bagnata faccio una croce sulla plastica dell’incubatrice. Le gocce scendono lungo le pareti di questa curiosa scatola formando sottili linee d’acqua che sembrano abbracciare la piccolina. Se è vero il detto che una benedizione attraversa sette muri questa non avrà nessun problema a raggiungere Carla Valentina. Roberto è più sereno, mi accompagna quasi fino all’uscita per ritornare in fretta davanti a sua figlia, per parlare con i dottori per continuare a pregare e sperare. Presto anche lui uscirà per correre a vedere come sta la sua fidanzata nell’altro reparto e poi salire in moto e volare al lavoro.

“Dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro” ha detto Gesù.

La guachimania è la casa del guardiano del cantiere e una volta termiati i lavori, se non viene distrutta, è la casetta degli attrezzi. Il posto dove si mettono le carriole, i badili, le zappe, il materiale che prima o poi potrà servire e intanto è meglio non lasciarlo fuori perchè non si rovini o venga rubato. È un magazzino piccolo con spifferi, ragni, umidità e mosche. Non sempre la pulizia è di casa nella guachimania… anzi. Non distante dalla cappellina di Moràn una guachimania è la casa dell’anziano Manuel. Non ha familiari, una quasi parente lo aiuta per misericordia. Manuel è anziano, il materasso del suo letto scricchiolante sono i sacchi neri dell’immondizia, il suo profumo è quello del sudore, le mosche sono le sue amiche. Miseria. Negli ultimi giorni la sua salute è peggiorata. Ha la febbre. La signora per pietà lo accudisce come può, chiama perchè possa ricevere l’unzione degli infermi. La accompagno. Nel breve tragitto racconta che Manuel non ha nessun parente, nessuno vuole aiutarlo. Lo fa lei ma è stanca perchè ha anche il lavoro e la sua casa. “Tutti mi fanno i complimenti ma come mi farebbe comodo che qualcuno mi aiutasse a lavarlo, pulirlo, cambiarlo”. Mi dimentico che la guachimania è bassa e entrando sbatto la testa. Anche qui siamo in tre: Manuel, la signora ed io. Anche lui non parla. Non c’è un vetro a separami dalla sua fronte ma uno strato di sporcizia e sudore. Anche qui c’è musica: il ronzio fastidioso delle mosche che non smettono di posarsi su di lui nonostante la premurosa attenzione della signora. La celebrazione è semplice, incorniciata dalle pareti che si attaccano al tetto con molti spifferi accogliendo appese pale, picconi e pezzi di ferro.

“Dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro” ha detto Gesù.

Hasta pronto

P. Giovanni

 

 

 

 

 

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IL NATALE IN PARROCCHIA

Oggi è Natale, giornata tranquilla, pochissima gente a messa.

Qui la grande festa del Natale è la sera del 24 quando, dopo la messa c’è la benedizione del Bambin Gesù. I sacerdoti si portano al fondo della chiesa e da sopra una panca aspergono la gente che alza il suo Bambino perchè riceva più acqua benedetta possibile, in definitiva è una doccia seguita da una calda cioccolata per tutti. La gente arriva per tempo per trovare posto e porta in braccio il “suo Bambinello” e si il suo perchè in ogni famiglia, anche la più povera c’è una statua del Gesù Bambino vestito con abiti ricamati in oro.

C’è una vera adorazione per questi Bambinelli che in casa sono posti ben in vista attorniati dalle statue delle varie Madonne, con lucette e candele. Durante la novena ho partecipato in alcuni luoghi dove si pregava, erano ben 24, sempre molto partecipati e variopinti, molte volte i bambini erano vestiti come i personaggi del presepe.

Mi ha colpito l’ultima sera di novena in una casa nel barrio credo più povero della nostra zona dove le strade sono ancora di terra e le case si chiamano così solo perchè sono fatte di mattoni. In una stanza strapiena di persone, molti i bambini e anche i cani, alla fine della novena, dopo il solito rinfresco a base di panino con formaggio e the, un rappresentante del gruppo mi ha consegnato un sacco pieno di viveri che avevano raccolto durante la novena e destinato ai poveri della parrocchia.

I poveri che fanno la carità ai più poveri.

Quanto abbiamo da imparare……………..

In attesa del nuovo anno nelle case si stanno preparando i pupazzi dell’anno vecchio che verranno bruciati tra canti e balli.

In questa attesa auguro a tutti un nuovo anno di serenità e pace.

Luigina

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