SE NON CONOSCO NON POSSO AMARE

Quito 30 aprile 2012

Che grande forza il Vangelo! In questo mese mi sto accorgendo che più mi trovo a meditare la Parola, più riesco ad analizzare la mia vita. Il Vangelo di questa domenica  (Gv 10, 11-18) mi ha aiutato a comprendere una cosa: Se non conosco non posso amare.

 Il pastore conosce la realtà delle sue pecore: quelle fuori del recinto, quelle dentro del recinto, quelle abbandonate dal mercenario…conosce le loro realtà e con tutte loro ha un un unico grande desiderio: formare un solo gregge.

Rileggendo più volte questo Vangelo mi accorgo che la parola “conoscere”  ritorna molte  volte, come pure la frase “offrire la vita”. Se unisco questi due punti di vista molti  volti di persone iniziano ad affollare la mia mente confermando ancora una volta l’idea che mi sono fatta sull’importanza del conoscere qualcuno per comprendere più da vicino i perchè di determinati comportamenti o scelte di vita. Ritengo importante che come Chiesa (laici, consacrati o sacerdoti) iniziamo a conoscere a livello personale e in profondità le persone che stanno dentro o fuori delle nostre parrocchie. Tutto questo per vivere quel mistero d’amore che Dio ci ha regalato e che vuole che facciamo conoscere ad ogni persona.

In questo periodo io e Byron (animatore con me di un nuovo gruppo giovani della parrocchia nel nuovo quartire Bicentenario) abbiamo scelto di entrare nelle case dei ragazzi per conoscere più da vicino le loro realtà e conversare con i genitori per vedere se sentono importante un gruppo giovani nella vita dei loro figli. Nell’analizzare questa esperienza, come animatori, ci siamo accorti di diverse cose:

Le persone ci hanno aperto volentieri le porte delle case condividendo inquietudini e desideri, affidandoci l’incarico di accompagnare i loro figli in questo periodo di crescita, soprattutto in questo cambio di vita in cui hanno abbandonato gli amici e i parenti più stretti, per iniziare una nuova vita in questo quartiere che arriverà ad ospitare tremila nuclei famigliari.

La maggior parte delle famiglie visitate appartengono alla Chiesa Evangelica, però sono stati battezzati nella chiesa cattolica. Nell’ ascoltare il perchè di questo cambio di religione mi sono stupita che tutti abbiano detto che hanno dovuto cambiare, perchè nella Chiesa Cattolica si fanno solo messe, si ricevono soldi e sei visto come un numero. Di fondo c’era pure una teoria sul fatto che noi cattolici crediamo nei Santi, nelle statue e in Maria, ma queste motivazioni le ho trovate superficiali, perchè quello che queste persone mi stavano comunicando è che come Chiesa Cattolica siamo poco vicino alla gente. Nelle messe che stiamo celebrando ogni 15 giorni in questo quartiere; nel gruppo giovani che io e Byron stiamo seguendo personalmente; nelle diverse attività che come parrocchia proponiamo, noto che le pesrone che si ritengono evangeliche stanno partecipando (a queste diverse proposte) molto attivamente. Questo mi fa capire due cose: che alcuni sacerdoti di questa diocesi pensano solo a fare messe (entrata economica sicura) e così l’idea di Chiesa come comunità (e non come “supermercato di prodotti religiosi”) svanisce, ma è pure vero che se fai speriementare una chiesa fondata sulla gratutità per un bene comune, questa testimonianza viene accolta a piene braccia. La seconda cosa, e la più importante, è che se io incontro la gente riesco comprendere il perchè di certe scelte di vita, riesco comprendere i bisogni di queste persone e con loro si può costruire una Chiesa concreta, soprattutto inizio ad essere testimone di una Chiesa vicina alla gente.

Quest’anno poi  con il gruppo Caritas abbiamo voluto assumerci il progetto C.A.E. (centro di appoggio scolastico), perchè, dopo aver analizzato al realtà dei nostri bambini, ci siamo accorti che nei quartieri più marginali i bambini stavano passando troppe ore per le strade iniziandosi in processi di droga, violenza, abuso, furto e abbandono scolastico a 4-5-6 anni. Troppo piccoli e troppo indifesi. Sylvia, la responsabile della nostra Caritas Parrocchiale, ha aiutato la comunità  a concretizzare una frase per lei è la base di questa Associazione internazionale: “Caritas è il volto sociale della chiesa”… e se noi non ci occupiamo di questi piccoli, chi si occuperà di loro? Conoscere le “strade” dei nostri quartieri, ha accompagnato la nostra parrocchia a cercare di formulare un progetto per dare ai bimbi risposte ai bisogni primari che necessitano per crescere bene.

 Infine sabato scorso abbiamo partecipato alla festa diocesana dei chierichetti. Nel momento della messa sono tornata indietro di tre anni pensando al primo giorno di gruppo, dove si era presentato solo Javier un ragazzo nero che inizialmente abbiamo dovuto “spingere” per convincerlo a far parte di questo gruppo. Lui, che al tempo aveva 11 anni, aveva questo grande desiderio di essere accanto al padre-sacerdote (come dice sempre lui), ma, siccome nell’altare un nero non si era mai visto, teneva questo suo sogno nascosto. Conversando con lui, gli ho fatto capire che Dio non guarda il colore della pelle, ma il colore delle nostre azione, ossia quanto amore e bene mettiamo nelle cose che facciamo. Grazie a Javier hanno iniziato a partecipare altri 3 ragazzi neri. Grazie soprattutto alla serietà che Javier mette nella messa, il gruppo ha iniziato a ingrandirsi arrivando a 30 chierichetti. Tutto questo perchè abbiamo ascoltato  la “paura di essere nero” e, superando pregiudizi, assecondato  il desiderio di servire il padre che Javier aveva.

 

Queste tre esperienze quotidiane della nostra parrocchia mi sono venute in mente, perchè sono un riassunto concreto del  Vangelo che questa domenica ci invita  a formare un solo gregge, una sola Chiesa iniziando ad uscire dalle “mure” delle nostre comunità per incontrare le persone e poter iniziare a voler bene alla gente, per poter essere dono per gli altri formulando idee, progetti, attività, gruppi che partano dal vissuto delle persone che si intrecciano nel vissuto dell’ amore di  Dio -Padre- Figlio e Sprito Santo.

Lorenza

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