Quito, 7 giugno 2012
Sono i tre vescovi di Quito. Mentre Renè e Danilo sono i due ausiliari (quelli che danno una mano), Fausto è il vescovo che “comanda”. È un frate francescano, la sua chioma bianca ricorda i suoi 70 anni e più, con le sue battute e il suo modo di fare dimostra uno spirito vivace e buono. Metà della settimana la passa a Riobamba (3 ore a sud di Quito), da più di sei mesi sono senza vescovo e lui fa un po’ e un po’. Qui in Ecuador non esiste il sostentamento del clero, quindi i sacerdoti per arrivare a fine mese devono un po’ arrangiarsi. Se riesci a farti mandare in una parrocchia ricca non ci sono problemi, ma se ti capita una parrocchia povera … beh, o trovi da insegnare in una scuola cattolica, o celebri una marea di messe e sacramenti lasciando da parte la pastorale, o tiri la cinghia. “La fraternità parte dal portafogli” ripete quasi ad ogni riunione del clero il vescovo Fausto, “Non chiedete a me di trovare soluzioni, iniziate ad aiutarvi tra di voi sacerdoti. Chi è in una parrocchia ricca aiuti i sacerdoti più poveri. Siete confratelli no?”.
Il vescovo Renè ha il faccione sorridente, è bello robusto per non dire rotondo. Quando predica si scatena, un vocione e una energia che contagiano. Alla festa dei Chierichetti ha fatto partire un seminarista vestito da angelo dal fondo della Chiesa e usando le ali di polistirolo che portava, ha spiegato che cos’è il Paradiso e perché sarebbe bello andarci. Durante la settimana lo trovi in Curia, a ricevere i sacerdoti. Il sabato e la domenica ritorna nella sua parrocchia e fa … il parroco.
Il vescovo Danilo è piccoletto, vive in casa con i suoi genitori a Quito. Gira con la veste talare. Si è preso l’impegno di visitare tutti i collegi (le scuole superiori) e tutte le case delle varie congregazioni religiose che ci sono a Quito. Piccolo ma profondo. Domenica scorsa è venuto a celebrare la Cresima in parrocchia. Quando è arrivato il momento di rinnovare la fede ha chiesto che la gente gridasse: “Rinuncio e Credo”, perché diceva: “Se gridate di gioia quando la Nazionale segna un gol, perché aver paura di gridare che crediamo in Dio?”.
Durante l’ultima settimana di maggio, recitando il rosario in una casa con la gente delbarrio, alla fine un papà si è avvicinato chiedendomi se il terremoto in Italia aveva fatto del male a don Francesco (il missionario che ha accompagnato la nascita della nostra parrocchia; adesso parroco di Maserà). È stato bello vederlo sollevato quando gli ho risposto che le zone colpite non erano quelle dove viveva “el padrecito Francisco”. Girando per la parrocchia durante maggio, recitando il rosario o in un barrio o in un conjunto, sempre saltava fuori la statuetta della Madonna regalata dal padre Francisco; le radici della parrocchia sono anche in questi capitelli, alcuni minuscoli, che ricordano un dono semplice entrato nel cuore della gente.
Il 27 maggio è stato il compleanno della parrocchia, 14 anni. La processione e la messatutti insieme. Il pranzo comunitario, i giochi e i balli. Il giorno della festa ho preso anche parole da una signora. Vista la quantità non molto elevata di agilità che ho ricevuto in dote, non è che il ballo sia una delle mie passioni preferite, anzi… soprattutto quando le signore più attempate si avvicinano con il fare minaccioso di chi vuole a tutti i costi farti fare quello che vuole lui. Una di queste, di fronte al mio rifiuto mi ha risposto: “Eh no padrecito, così non si fa”… sarà meglio che prenda qualche lezione e che mi lasci un po’ più andare se non voglio far arrabbiare tutta la parrocchia in pochi mesi. In tutte le feste, piccole o grandi che siano, semplici o ricche, indigene o afro, cattoliche o no, prima o poi si balla, anzi prima o poi si deve ballare.
Oggi, 6 giugno, ricordo gli 8 anni di sacerdozio. Dalle rive dell’Adige e dalla Riviera del Brenta alle Ande della Sierra ecuatoriana, chi l’avrebbe mai detto. Quando si dice sì è sì.
Hasta luego
p. Giovanni