LA COMUNITA’ IN FESTA

Quito, 31 Maggio 2012

Maggio per la nostra Parrocchia “Maria Estrella de la Evangelizaciòn” è stato il mese della comunità, dove, attraverso la collaborazione di molta gente abbiamo potuto vivere un mese di preghiera nei diversi quartieri della comunità, per poi ritrovarci tutti riuniti l’ultima domenica di maggio per celebrare i 14 anni della fondazione della nostra parrocchia.

Nel pensare alla grande festa della scorsa domenica, dove tutto è stato accompagnato con semplicità, entusiasmo, fede e molta partecipazione mi sono chiesta ancora una volta: che cos’è la comunità parrocchiale e che cosa, io a livello personale, devo mettere in comune e condividere per vivere uniti nella stessa Fede in Cristo?

Giusto ieri sera don Nicola ha preparato una mega pizza per le persone che hanno collaborato nella festa comunitaria e nel momento del dolce io ho detto che non volevo mangiarlo perché era pieno di alcool, le persone che mi erano vicine mi hanno chiesto il perché di questa scelta così drastica e io ho spiegato con molta semplicità che è una scelta che inizialmente avevamo preso come famiglia e che poi io ho personalizzato in questa forma: “Non bevo alcolici o non mangio cose che lo contengono per accompagnare le persone che stanno uscendo dall’alcolismo. Io non so se tra voi qui dentro ci sia o no un alcolista, ma se ci fosse, il solo mangiare un dolce con alcool o il semplice bere una birra per lui sarebbe un dramma, perché tutte le cellule nervose inizierebbero a “impazzire”, per lui sarebbe un riiniziare un’altra volta.  Il mio, è un rinunciare per il bene degli altri e poi, rimanendo a stretto contatto con i bambini di qui mi accorgo sempre più che è difficile fargli comprendere il concetto del sapersi regolare con il vino o con la birra, perché la maggior parte di loro a causa di genitori alcolizzati, hanno sperimentato la fame (i genitori consumano lo stipendio settimanale in birra e a casa non arrivano soldi per comprare il mangiare basico), la violenza, l’abuso e l’abbandono. Ai bambini puoi dire quello che vuoi sul fatto che si beve un bicchiere di vino ai pasti e che questo fa bene. Purtroppo, sembra che la violenza che questi bambini “respirano” non permetta di far entrare nella loro testa concetti sul sapersi regolare. Per questi bambini vedere un adulto bere significa perdere la fiducia in quell’adulto, perché ai suoi occhi è come gli adulti che a casa sua bevevano. Da quello che vedo a 5-6-12 anni, un bambino non ha ancora sviluppato un chiaro processo di rielaborazione dei traumi, quindi tutto ciò si complica e personalmente vedo più facile aiutarli restando accanto  a loro con la forma che loro stessi vogliono vivere e vedere gli adulti”. A volte nella vita comunitaria si deve saper rinunciare a qualcosa per il bene degli altri, soprattutto uno deve avere il coraggio di esprimere i propri valori, anche se agli occhi degli altri può apparire “scelta estrema” o cretinata questo non importa, perché se una motivazione è fondata val la pena portarla avanti, l’importante è che non danneggi il bene degli altri.

 

Sempre domenica, nella grande festa tra i tanti gruppi che hanno partecipato con balli,canti, teatro e giochi c’era un coro “nuovo” di bambini della parrocchia. È un coro che è nato grazie a Johana, una bellissima bambina di 7 anni che non volendo passare i suoi sabati pomeriggi a casa veniva al catechismo con sua sorella dicendo alla mamma che noi della parrocchia l’avevamo invitata. Aspettava la fine del catechismo della sorella giocando nella piazza. Quando la mamma ha scoperto questa cosa, l’ha castigata e Johana si era molto rattristata per questo, allora un giorno le ho chiesto cos’è la cosa che più le piace fare e lei, con il suo timido sorriso, mi ha detto: “cantare”. Così mi sono ritrovato con suor Gloria e Aurora a pensare un coro per i bambini per animare la messa delle 11.00 di ogni domenica. Da un mese a questa parte abbiamo iniziato questo coro che a volte ci fa morir da ridere, perché i bambini sono talmente piccoli che non sanno ancora leggere, ma è bello vederli orgogliosi del piccolo contributo che anche loro possono dare alla comunità. A volte le parrocchie non creano spazi protetti e guidati per le nuove generazioni e così si perdono le potenzialità che le nuove generazioni possono dare per il bene di una comunità.

Sabato poi, prima della grande festa parrocchiale, abbiamo organizzato un pellegrinaggio verso il Santuario del Quinche e Dayana (la bambina di 9 anni che spesso nomino nelle mie lettere) mi ha chiesto se potevo accompagnarla. Dato che era un suo grande desiderio, l’ho esaudito e così alle 5.00 della mattina siamo partite a piedi (con altre 50 persone della parrocchia) per raggiungere il Santuario. Dopo 2 ore di cammino Dayana mi dice che vuole fermarsi e prendere una corriera per arrivare al Quinche, riposiamo 5 minuti e nel partire mi dice che ha cambiato idea e che lei è venuta per camminare e così farà. Questa determinazione mi ha stupito (da lì dovevamo camminare altre 5 ore) e  dopo aver affrontato la salita più difficile mi invita a pregare il rosario però con misteri suoi personali. Abbiamo detto un “sacco” di Ave Maria e le sue petizioni-misteri sono stati questi: “Per i miei papà perché la smettano di bere; per i sacerdoti della parrocchia perché possano essere più amabili; per i suoi fratelli perché possano essere sempre uniti qualsiasi cosa capiti; per i catechisti perché possano far conoscere Gesù ai bambini; per me perché possa essere sempre missionaria; per la mamma perché la smetta di litigare con papà; per lei perché possa essere una buona studentessa; per Byron perché possa perdere le sue paure (lei stessa le ha chiesto su cosa pregare); per Sylvia, Yarun, Sofia di Caritas perché possano sempre aiutare gli altri”.

Dayana ha saputo pregare per tutte le persone che per lei fanno parte della comunità, per quella comunità che lei stessa un mese fa in un gruppo biblico, l’ha definita come l’ambiente che le da felicità.

Come posso vivere io nella comunità? Analizzando questo mese, vedo importante saper ascoltare la gente che mi circonda, mettere in circolo idee e pensieri senza temere di affermare valori che agli occhi degli altri possano apparire inutili e che dentro di me hanno trovato dei perché concreti. Spesso, il rischio in una comunità è pensare come tutti pensano senza cercare, a livello personale, le motivazioni che portano ad alcune scelte. Se non troviamo un perché nelle scelte o se non sappiamo fondare i nostri valori, rischiamo di subire la vita e testimoniare il Dio delle abitudini e non il Dio che ci ha saputo riempire la vita di misteri. L’altro rischio in questa condivisione di valori è il non mettere in comune i pensieri differenti e così a volte si prendono decisioni che non riguardano la totalità ma solo l’io personale. A volte credo che una comunità debba essere un po’ come la Santissima Trinità ossia un unico corpo rappresentato nella specificità delle Tre Persone.

Infine, la cosa più bella che ho vissuto in questo mese della comunità è il saper pregare per gli altri e con gli altri, con la semplicità di un bimbo che sa invocare l’aiuto di Maria e Gesù per tutte le persone che formano parte di essa.

 Lorenza

 

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